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LA POVERTA' NON E' UNA COLPA


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foto di Roberto Re

 

 

Emergenza Campo Rom a Opera

 

Pogrom è un termine storico di derivazione russa con cui vengono indicate le sommosse popolari antisemite e le successive devastazioni avvenute soprattutto al tempo degli Zar di Russia con il consenso - se non con l'appoggio - delle autorità. In questo senso, il primo pogrom contro il popolo ebraico è quello compiuto nel 38 d.C. ad Alessandria d'Egitto. Più in generale, con pogrom si intendono le azioni violente contro la proprietà e la vita di appartenenti a minoranze politiche, etniche o religiose (da Wikipedia).

 

Opera, cittadina a sud di Milano, ha vissuto una doppia emergenza. La prima circostanza critica è nata dal bisogno di avere dovuto approntare, senza programmazione, un campo di accoglienza per numerose famiglie rumene sgomberate senza preavviso da un insediamento esistente da tempo alla periferia di via Ripamonti. La seconda emergenza è stata determinata dalla scoperta all’interno della popolazione cittadina di una frangia razzista e xenofoba che si è abbandonata ad atti di violenza inaspettati in una comunità, quella operese, che da sempre è stata esempio di accoglienza e tolleranza.

 

Tutto è iniziato il 14 dicembre 2006 quando viene sgomberato, senza alcun preavviso, il citato campo di via Ripamonti, alla periferia di Milano e i suoi abitanti vengono allontanati senza offrire loro alcuna alternativa abitativa.

L’intervento della Casa della Carità, diretta da don Virginio Colmegna, fa si che alcune famiglie trovino delle sistemazioni di fortuna presso tre locazioni dell’ente di assistenza. Alla fine verranno ricoverate in tutto 77 persone: 23 uomini, 17 donne e 37 bambini.

Qualche giorno dopo si muove il Comune di Milano che manda le ruspe in un campo al confine con Opera per allestire un’area dove piazzare delle tende per ospitare le famiglie sgomberate. Quest’area è posizionata a pochi metri dalle abitazioni di Noverasco, un quartiere di Opera, e non ha alcuna struttura urbanistica. Quindi, niente impianti elettrici o acqua corrente o allacciamenti fognari: il deserto. A questo punto interviene la Giunta al completo del Comune di Opera ed il sindaco Alessandro Ramazzotti che mettono a disposizione lo spazio già da tempo attrezzato per le aree circensi che si fermano nella cittadina. Viene stipulato un accordo tra il Comune di Opera, quello di Milano e la Provincia per il posizionamento in quest’area equipaggiata di un numero sufficiente di tende riscaldate per ospitare le famiglie rumene e i numerosi bambini. Il tutto sino al 31 marzo 2007, una soluzione temporanea per superare l’emergenza del freddo invernale. Viene inoltre stipulato un patto di socialità e legalità con gli ospiti che lo sottoscrivono con la promessa di mantenere gli impegni presi. Nel documento le famiglie rom si impegnano, tra le altre cose, a rispettare la legalità, a mantenere la pulizia del campo, a pagare eventuali danni causati, a mandare i bambini a scuola e a non coinvolgere i minorenni nella ricerca dell'elemosina. Tra l’altro risulta che tutti i bambini frequentino scuole di vario grado nell’area a sud di Milano. I bambini stessi sembrano tutti ben curati, per quanto le condizioni ambientali in cui vivono lo consentano. Il sindaco di Milano si impegna ad attivare un servizio di autobus che li prelevi il mattino, li accompagni a scuola e li riporti indietro alla fine delle lezioni.

 

Il 20 dicembre iniziano i lavori per l’allestimento della tendopoli e tutto procede velocemente per permettere il ricovero delle famiglie rumene entro Natale. La sera dopo è previsto un Consiglio Comunale per approvare delle delibere inerenti la soluzione dell’emergenza e per spiegare alla cittadinanza quanto stava avvenendo. La seduta del Consiglio Comunale si svolge in un clima di grande intolleranza per la presenza tra il pubblico di circa duecento persone tra cui, oltre ai cittadini di Opera intervenuti, spiccano molti elementi milanesi di una nota organizzazione di estrema destra. L’assemblea viene continuamente interrotta sino a quando la maggior parte del pubblico lascia la sede del Municipio e si reca in corteo verso l’area in allestimento con a capo alcuni rappresentanti politici locali della Lega e di Alleanza Nazionale. Durante il tragitto vengono urlati slogan e parole d’ordine di stampo razzista di una violenza inenarrabile. Arrivati sul posto succede l’imprevedibile. Una decina di facinorosi, già identificati dalle forze dell’ordine, si esibisce in una manifestazione di brutalità inaspettata e inaudita, probabilmente concertata precedentemente,  dando fuoco a sei tende, distruggendone altre sette e trascinandone una come trofeo sulla via principale di Opera mettendo in atto un blocco stradale. L’uso di liquido infiammabile fa supporre che tale azione fosse già stata progettata con fredda premeditazione. La cosa che colpisce di più la cittadinanza e che tra i protagonisti di tale scempio vi fossero, come accertato dalle forze dell’ordine, alcuni abitanti di Opera.

 

Nei giorni successivi i lavori, protetti da una forte sorveglianza di Polizia e Carabinieri, proseguono e vengono conclusi il 28 dicembre. L’obiettivo di ospitare le famiglie già a Natale è comunque sfumato. Significative le parole di don Renato, parroco di Opera: “Stavamo allestendo un presepe vivente. Quelli che si riempiono la bocca dei valori cristiani, senza sapere cosa siano, l’hanno bruciato”. Per rimarcare quanto detto non ha permesso che durante la messa della domenica successiva fosse scambiato il segno della pace. In effetti di pace in quei giorni non ce n’era affatto. Questo gesto ha colpito molto gli operesi di buona volontà e suscitato la reazione delle frange più reazionarie che hanno diffuso un volantino ove si chiedeva ai frequentatori della comunità cristiana di non dare più il consueto obolo di carità alla chiesa finché il parroco non avesse cambiato idea.

 

Il giorno ventinove le famiglie rom si insediavano nel campo ancora incompleto. Ci vorranno ancora alcuni giorni, affinché tutti servizi funzionino a regime grazie alla Protezione Civile di Opera e agli altri enti coinvolti. Durante il trasferimento è nata l’idea di alcuni cittadini operesi di dare vita ad un comitato contro il campo che sta  attuando un presidio permanente dell’area per non fare affievolire la pressione politica e l’attenzione mediatica su quello che reputano un immenso pericolo per la perdita di valore delle loro case e per la loro sicurezza. Il momento dell’insediamento è stato caratterizzato da parte di questi personaggi con urla di minaccia e slogan di violenza estrema.

 

Gli abitanti del campo vengono tutti da Salcuza un piccolo paese della Romania, abitato da poche migliaia di persone che vivono in un forte stato di indigenza. L’unica strada che porta al paese è una carrabile non asfaltata di quasi cinque chilometri assolutamente impraticabile durante l’inverno. Tutte le case sono in avanzato stato di degrado e non esiste traccia di servizi sociali o assistenza. Il paese una volta era famoso per la maestria degli abitanti di costruire e suonare strumenti musicali. Una cosa impressionante che è stata rilevata da chi è andato sul posto è che oggi nel paese sono presenti solo vecchi e bambini. Tutti gli abitanti tra i diciotto e i cinquanta anni sono emigrati in altri luoghi o all’estero in cerca di lavoro. Questa comunità esiste da seicento anni e non ha mai praticato il nomadismo. Tutte le accuse di avere ospitato dei nomadi zingari, qualora questo possa essere una colpa, vengono dunque a cadere. Riflettendo bene le etnie rom, anche quelle nomadi, non hanno mai fatto alcuna guerra ne invaso alcun paese straniero. Ma la riflessione e la cultura non fanno parte del patrimonio intellettuale e culturale di rozzi razzisti e di poveri xenofobi.

 

Episodi inqualificabili sono avvenuti la notte di capodanno e ancora dopo qualche giorno nei confronti di un gruppo di giovani che erano andati a passare una serata suonando in serenità con gli abitanti del campo. Alla loro uscita sono stati insultati e malmenati pesantemente. Solo l’intervento delle forze dell’ordine, presenti continuamente e in grande quantità, ha probabilmente evitato che la situazione degenerasse in episodi violenti ancora più gravi. Il diciannove di gennaio si è svolta un’altra manifestazione contro la presenza delle famiglie rumene e sono stati urlati degli slogan che dicevano “Vi bruceremo ancora”. Colpisce l’aridità emozionale di questi personaggi che nel nome della difesa del denaro e del valore delle loro case non tiene conto della presenza all’interno del campo di trentasette bambini.

 

Il campo funziona bene nonostante il presidio ostile continui ad attuare incessantemente atti di disturbo e di minaccia nei confronti di chi va a portare solidarietà ai nuovi arrivati. Chi segue giornalmente la vita quotidiana del campo testimonia che nove disegni su dieci fatti dai bambini, a scuola o dentro le tende,  rappresentano il loro desiderio più grande: una casa. Gli uomini e alcune donne vanno a lavorare (in nero) o a cercare lavoro. L’immagine del campo è data dall’insieme degli elementi che lo compongono. Le tende, un piccolo prefabbricato per i servizi, vita all’aperto, la rete di recinzione, la sorveglianza continua delle forze dell’ordine. La memoria va alla tristezza delle riserve del popolo pellerossa. È di questi giorni la notizia che sono quasi pronte delle soluzioni alternative alle tende. Si stanno  rintracciando degli appartamenti in varie zone del milanese da prendere in affitto e dove spostare i nuclei famigliari. Probabilmente l’emergenza finirà tra breve ed il campo sarà smantellato prima del previsto 31 marzo. Ricordiamo che dal primo gennaio la Romania e la Bulgaria sono entrate a far parte dell’Unione Europea.

 

Il pomeriggio di sabato 10 febbraio le famiglie romene, stanche ed impaurite dalle continue intimidazione esercitate giorno e notte dai frequentatori del presidio ostile alla loro presenza, hanno abbandonato definitivamente il campo di Opera e si sono trasferite presso la Casa della Carità di Milano dove sono state allestite in tutta fretta delle roulette e delle caravan che le ospiteranno.

 

Contemporaneamente hanno spedito una lettera aperta al Prefetto di Milano per spiegare le loro ragioni:

 

LETTERA APERTA AL PREFETTO DI MILANO

 

Siamo il gruppo di persone che da settimane vivono nel campo di Opera, in emergenza, con un presidio di gente che non ci vuole e la polizia sempre all’entrata del campo. Non siamo gente che ruba, i nostri figli vanno a scuola. Quando passiamo vicino al presidio noi salutiamo sempre, loro ci insultano. Non abbiamo più il coraggio di uscire dopo le 17. I bambini hanno paura. Grazie a chi ci ha aiutato. Ma non resteremo un’ora di più.

 

Si diceva all’inizio, a proposito della seconda emergenza, che la maggior parte degli abitanti di Opera è rimasta scossa da quanto successo. Un forte senso di imbarazzo, se non di vergogna, si è diffuso nella cittadina ed motivo di discussione continua in tutti i luoghi di aggregazione. Lo scoprire che il tuo vicino di casa è un razzista ha di fatto rivelato una realtà che spesso viene celata dietro alle mura domestiche. Tra i più attivi nella protesta contro il campo di accoglienza si sono distinti gli abitanti di un nuovo insediamento abitativo ancora in corso di costruzione a poca distanza dal campo stesso. Quando si chiede loro quali sono le motivazioni di tanta ostilità verso le famiglie romene le risposte sono sempre confuse e tutte alla fine convergono verso la paura che le loro case nuove perdano valore immobiliare. Va detto che questi nuovi abitanti provengono in larga maggioranza da Milano e molti di loro non abitano ancora sul posto. Ecco, il dio denaro che ancora una volta prevale su qualunque logica di solidarietà. La paura del diverso da te, dell’altro che non siamo noi, crea situazioni di intolleranza e di estremismo violento.

 

Probabilmente è la logica della memoria corta o rimossa. Basta parlare con i nostri vecchi e scoprire storie simili subite dagli italiani emigrati all’estero. In Francia, in Belgio, in Germania, negli Stati Uniti, in Argentina, in Venezuela, in Australia e in decine di altri stati nel mondo, sono innumerevoli gli atti di ostilità che, negli anni della grande emigrazione degli italiani all’estero, hanno provocato vittime e non poca sofferenza in chi si era mosso dalla propria casa di origine solo per andare ricerca di un lavoro e di un po’ di benessere o di un avvenire, forse più felice, che in Italia gli era precluso. Ricordiamo, un esempio tra i tanti possibili, che al momento dell’ingresso degli emigranti negli Stati Uniti facevano parte del protocollo del domande del tipo “Sei un mafioso?”, per gli uomini e “Sei una prostituta”, per le donne, come a volere rimarcare che questi erano i soli mestieri praticabili nel loro luogo di origine. Come quando, oggi, si appellano tutti gli zingari come ladri, gli arabi come terroristi o i nordafricani come spacciatori. Luoghi comuni che creano un insieme ideologico di diffidenza e ostile tensione nei confronti degli stranieri arrivati in Italia.

 

La paura dell’altro che non è dei nostri. Quindi è un diverso. Quindi è pericoloso. Tutto nasce dall’ignoranza della storia di questi popoli. La storia passata, se studiata, ci farà scoprire come queste popolazioni sono state all’origine della civiltà, anche della nostra. La storia moderna, attuale, ci farà constatare che la fuga dai loro paesi di origine è motivata soprattutto dal bisogno di scappare da una sanguinosa guerra in corso o più semplicemente dalla fame terribile che dilaga ovunque in quello che chiamiamo Terzo o Quarto mondo.

 

Ma la povertà non è una colpa.

 

Il campo di accoglienza di Opera è solo un esempio di una quotidianità fatta di sopraffazione da parte di individui su altri individui più deboli e vulnerabili, impossibilitati a difendersi. Altri ne verranno in nuove zone del Milanese o d’Italia in generale. Ci sarà molto da lavorare per debellare questa grave forma di ignoranza emotiva. Ignoranza grave che non permette di riconoscere le emozioni dell’altro e di condividerne le sofferenze o la felicità. Che non permette di rendersi conto che la convivenza pacifica, la contaminazione e la promiscuità culturale sono l’unica strada di progresso possibile per questo nostro mondo.

 

Tutto questo passerà, tutto passa, ma nella memoria degli operesi rimarrà una traccia indelebile dei fatti di questi giorni.

  

Nessuno sorrida.

 

 

 

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